Sicania, Trinakìe, Vitulia, Isola del Sole

La Sicilia non è un luogo come tanti altri. Il sole che batte non brucia la terra. Le sconfitte lasciano cicatrici, ma tra le pietre – o sulle autostrade – nascono fiori.

Per strada c’è odore di cibo e un’esplosione di colori, di petali profumati o disegnati sulla ceramica. Il mare accoglie turisti e corpi disperati, ma è sempre blu, per tutti. Le rovine di un mondo antico e glorioso si riflettono nei ruderi lasciati da chi ha dilaniato questi luoghi e i suoi figli.

Ho visto persone rassegnate all’incuria, ma nessuno che si fosse realmente arreso. Ho visto città in cui ho ringraziato di non essere nata e case a cui mancavano pezzi. E poi ragazzi. Ecco, i ragazzi. Li ho visti giocare a pallone di fronte alle chiese e ne ho visti altri ricordati nei murales della Vucciria. Eppure, anche se tutti diversi, ho sperato che ognuno di loro avesse un sogno.

In Sicilia, quando muore una persona viene appeso un manifesto per ricordarlo. Come in molti altri posti, certo. Ma in Sicilia, è il tempo a staccarlo dal muro. Solo il tempo che, lento e inesorabile, consuma la carta e il dolore. Bisogna lasciare correre, scorrere, vivere.

L’Etna sbuffa. Le serre abbandonate riflettono il sole del tramonto. I vigneti si addormentano. Le capre smettono di arrampicarsi sulle rocce e tornano ai propri ripari. E i turisti si cambiano d’abito, prenotano un ristorante, scattano una foto ricordo.

La Sicilia è servita, nelle sue contraddizioni e nei suoi dolori. Ma anche nella sua straziante e straripante bellezza.

 

Rosanna Oberbizer

La capra

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata 
dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

Umberto Saba

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Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà.

All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre.

È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.

Peppino Impastato

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